I wanted to dive into the well

I wanted to dive into the well
of the wonderful language of poetry.
But when I opened the door to my flat
I saw in the corridor
upside down and cuddling up together
my mattresses,
thrown out of the bedroom.
A gloomy premonition took hold of me,
for in that corner of my room
where they had always been,
usually gathered the bare and stammering messages
of my soul, pressed out
of my and the ballpoint’s blood.
When I opened the door
to my bedroom, I began
to tremble with rage deep inside.
In my corner, where anxiety, dreams and hopes
usually embrace, intertwine
and say goodbye to one another,
now a big divan stood – mute.
Crumpled old clothes lay around,
chairs – and in the midst of all this junk,
of this rubbish,
I discovered Celan’s “Atemwende”,
sheets of paper, filled with writing,
broken biros and headphones.
But where, for heaven’s sake,
are Ingeborg Bachmann, Eliot, Rilke, Pushkin,
where is Mariella Mehr and Jovan Nikolić?
“What did you do with them?” I furiously shouted from my room.
“Have a look in the plastic bags!” she answered me from the kitchen.
My first impulse was to break or to tear to pieces what
lay around, and on the spot do something stupid.

But I started to rummage through the Billa-bags,
strewn all over the place,
till I found in one of them
my dear friends and my writings.
But I continued telling her off and cursing under my breath,
because that gave me a feeling of relief.

(source: Jovanović 2010, p. 101, 103)

Nel pozzo della mirabile lingua

Nel pozzo della mirabile lingua
di lirica volevo immergermi.
Aprendo però la porta dell’ appartamento,
vedevo in corridoio
capovolti e addossati densamente l’uno all’altro,
i miei materassi per dormire,
gettati fuori dalla camera.
Un brutto presentimento s’impossessò di me,
poiché lì, nell’angolo della mia stanza,
dove erano sempre stati,
si erano adunati i nudi balbettati messaggi
della mia anima, spremuti fuori
dal mio sangue e da quello della matita.
Dopo che avevo aperto la porta
della camera, tutto cominciava
a tremare di collera dentro di me.
Nel mio angolo, dove le paure, i sogni e le speranze
si abbracciavano, si annodavano
e si separavano ancora,
adesso si trovò un gran divano – muto.
Ovunque c’erano sparsi qua e là sgualciti indumenti logori,
sedie, pezzi d’arredamento, un gran mucchio di letame,
e in mezzo a questo letamaio
scorgevo l’ “Atemwende” di Celan,
foglietti riempiti con righe,
matite rotte e cuffie rotte.
Ma dove sono, per amor di Dio,
la Bachmann, l’Eliot, il Rilke, il Puškin,
dov’è Mariella Mehr e Jovan Nikolić?
“Che hai fatto con loro”, gridavo dalla stanza, acceso d’ira.
“Vedi nelle borse di plastica”, rispondeva lei dalla cucina.
Il mio primo impulso era di fare qualcosa di stupido all’instante,
e rompere o strappare a pezzi ciò che stava intorno.

Invece cominciavo a rovistare nel mucchio di sacchetti Billa
che ovunque giacevano tutt’intorno nella camera,
finché non trovai in uno di essi
gli amici amati e le mie pagine scritte.
Continuavo però a lanciare delle imprecazioni ed ad insultarla,
perché mi sentivo sollevato così.

(source: Jovanović 2012, p. 151, 153)